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domenica 11 maggio 2008

PROVE - SEQUESTRI -SS.UU. Sentenza n. 18253 del 24 aprile 2008 - depositata il 7 maggio 2008

PROVE - SEQUESTRI - SEQUESTRO DI DOCUMENTAZIONE - ACQUISIZIONE DI COPIE - RIESAME - DISSEQUESTRO DEGLI ORIGINALI - INTERESSE ALL'IMPUGNAZIONE – INAMMISSIBILITA'
Sentenza n. 18253 del 24 aprile 2008 - depositata il 7 maggio 2008
(Sezioni Unite Penali, Presidente V. Carbone, Relatore A. S. Agrò)


Risolvendo un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite hanno affermato che l’avvenuta restituzione del bene sequestrato rende inammissibili, per sopravvenuta carenza di interesse, la richiesta di riesame del sequestro probatorio e l’eventuale successivo ricorso per cassazione. Infatti, con la restituzione della documentazione sequestrata, anche se accompagnata dall’estrazione di copia della stessa, il provvedimento limitativo del diritto sulla cosa si è già esaurito, e l’interessato non ha più alcuna ragione specifica per attivare o coltivare la procedura incidentale, funzionale esclusivamente a rimuovere le misure restrittive per le quali non sussistono i requisiti richiesti dalla legge. Il giudicato nel procedimento incidentale riguarda solo il vincolo imposto dal provvedimento di sequestro, e non i profili di legittimità e di utilizzabilità della prova acquisita.

Sentenza n. 18253 del 24 aprile 2008 - depositata il 7 maggio 2008

(Sezioni Unite Penali, Presidente V. Carbone, Relatore A. S. Agrò)

Ritenuto in fatto

1. Il 2 aprile 2007 Andrei Tchmil chiedeva il riesame del decreto di sequestro emesso il precedente 28 marzo dal pubblico ministero presso il Tribunale di Brescia ed eseguito su un personal computer e alcuni documenti.

Poco dopo, con decreto di dissequestro del 5 aprile 2007, il pubblico ministero disponeva la restituzione delle cose sequestrate allo Tchmil, previa estrazione di copia di quanto ritenuto utile ai fini delle indagini.

Conseguentemente, con ordinanza in data 13 aprile 2007, il Tribunale di Brescia dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo che, essendo intervenuto il dissequestro, difettasse l'interesse al gravame. Non veniva pronunziata condanna alle spese, dato che il provvedimento di restituzione era stato adottato dopo la presentazione del ricorso.

2. Contro tale ordinanza il difensore dello Tchmil ha proposto ricorso in Cassazione.

Deduce violazione di legge in quanto la restituzione del bene sottoposto a sequestro non farebbe venir meno l'interesse del ricorrente ad ottenere la decisione del Tribunale sulla richiesta di riesame, con la conseguente possibilità di neutralizzare ogni effetto del vincolo di indisponibilità sull'oggetto sequestrato. Nel caso di sequestro probatorio la materiale restituzione dei documenti sequestrati non impedirebbe, ove siano trattenute le copie degli stessi, che il sequestro abbia comunque raggiunto il suo effetto. Il Tribunale pertanto avrebbe omesso la verifica diretta ad accertare se l'uso del mezzo tendente all'acquisizione della prova fosse avvenuto nei casi e nei limiti previsti dalla legge, accertamento ritenuto indispensabile dalla giurisprudenza di legittimità .

3. E sotto questo profilo il p.m. avrebbe violato l'art. 253 c.p.p., perché il decreto di sequestro deve indicare il reato per cui si procede, specificando gli estremi del fatto, nonché le cose che ne formano oggetto, al fine di consentire di verificare se in concreto sussista un nesso pertinenziale tra i beni sequestrati e il reato, oltre alla finalità probatoria perseguita dal vincolo (Cass. Sez. Un. 28 gennaio 2004 n. 2). Nel decreto di perquisizione e sequestro oggetto della richiesta di riesame l'indicazione del fatto risulterebbe invece generica rispetto all'attività concretamente disposta e svolta e dal medesimo decreto non potrebbe comunque desumersi la relazione tra le cose oggetto del sequestro e il reato.

4. Presso la Corte di Cassazione, il magistrato delegato per l'esame preliminare rilevava la manifesta infondatezza del ricorso e lo trasmetteva alla VII Sezione Penale, ma questa, ritenendo che non sussistesse alcuna causa di inammissibilità, disponeva, ai sensi dell’art. 610 comma l ultima parte c.p.p., la trasmissione degli atti, ratione materiae, alla II Sezione Penale, evidenziando un contrasto di giurisprudenza sulla problema sollevato con l’impugnazione.

Con ordinanza del 30 gennaio 2008, il Collegio della II Sezione Penale, dopo aver osservato che effettivamente la questione della persistenza dell'interesse alla richiesta di riesame a seguito della restituzione della cosa sequestrata ha dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale, ha ravvisato l’opportunità di rimettere la decisione, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., alle Sezioni Unite della Corte.

Considerato in diritto

1. Come è stato esposto in narrativa, le Sezioni Unite sono chiamate a decidere se, dopo che sia stata restituita la cosa sequestrata, divenga inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse la richiesta di riesame di un sequestro probatorio (o, può aggiungersi, il ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale del riesame, adottata mentre la cosa era trattenuta), specie nell’ipotesi in cui il p.m., avvalendosi del potere conferitogli dall’art.258 c.p.p., abbia estratto copia della documentazione restituita.

2. Al riguardo si registra un contrasto di giurisprudenza, volendo un indirizzo maggioritario, iniziato da sez. VI, 31 maggio 1994, n.2640, Schenardi, rv.199085, che l’istanza di riesame di un provvedimento di sequestro di cosa successivamente restituita è inammissibile in quanto il risultato tipico dell'impugnazione (il dissequestro) è già stato conseguito. Né può assumersi, viene aggiunto, che l'indagato abbia interesse all'accertamento della legittimità dell’acquisizione delle copie estratte: il provvedimento di sequestro, oggetto del procedimento incidentale di riesame, va infatti tenuto distinto da ogni altra acquisizione di documenti o cose, la cui illegittimità ed eventuale conseguente inutilizzabilità o nullità deve essere valutata dal giudice del processo e non in sede incidentale.

Indirizzo, questo, che si contrappone a un precedente orientamento, oggi minoritario, risalente a sez. V, 19 giugno 1990, n. 3308, Menci, rv.185304, secondo il quale, invece, nel sequestro a fini probatori non può non riconoscersi all'imputato un interesse ulteriore da quello alla restituzione della cosa, connesso all'esigenza di assicurare che ogni mezzo che tenda all'acquisizione della prova sia acquisito al procedimento nei casi ed entro i limiti previsti dalla legge.

3. Il risalente contrasto risulta tuttora in corso e in termini pressoché identici.

Prendendo in esame le più recenti pronunzie in materia, da un canto sez. II, 5 luglio 2007, n. 32881, Saldalj, rv. 237763, osserva che con la restituzione dei beni è stato soddisfatto l'interesse dell’indagato ad ottenere il dissequestro di quanto in precedenza appreso, mentre la circostanza che della documentazione cartacea sia stata estratta copia da parte dell'autorità procedente è estranea al procedimento incidentale, in cui si verte del diritto alla restituzione di quanto oggetto del sequestro. Cosa che non impedisce di far valere successivamente le proprie ragioni difensive e precisamente nella fase di acquisizione di quei documenti al processo, sotto il profilo della eventuale inutilizzabilità degli stessi .

D’altro canto, sez. IV, 1 dicembre 2005, n. 6279, Galletti e altro, rv. 233402, afferma viceversa che nel caso del riesame del sequestro probatorio, l'interesse ad impugnare, quanto meno dell'indagato, prescinde del tutto da quello alla restituzione della cosa, ove si consideri il diritto dello stesso indagato di richiedere la rimozione del provvedimento anche al solo fine di evitare che l'oggetto in sequestro entri a far parte del materiale probatorio utilizzabile, posto il suo interesse a verificare che ogni mezzo che tenda all'acquisizione della prova abbia ingresso nel procedimento solo nei casi e nei limiti previsti dalla legge.

4. Sul problema le Sezioni Unite, sia pure con riferimento alla sola ipotesi della sorte del ricorso in Cassazione a seguito della sopravvenuta restituzione della cosa oggetto del sequestro probatorio (nella specie un’automobile), si sono già uniformate alla giurisprudenza prevalente (20 dicembre 2007, n. 230, Normanno, rv. 237861) E tuttavia, poiché la soluzione adottata e che va ribadita (la restituzione “priva di interesse concreto l’impugnazione con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile”) non è stata oggetto di dimostrazione e potrebbe essere ritenuta non estensibile al caso del sequestro probatorio di documenti da cui sia stata estratta copia, è opportuno tornare ex professo sulla questione e illustrare le ragioni dell’indirizzo condiviso.

5. Punto di partenza del discorso può essere costituito dall’affermazione, comune a molti fautori della tesi respinta, che la questione sorge perché la restituzione della cosa, almeno quando questa si riconduca alla categoria degli atti o documenti (o, come nella specie, a quella del computer e dei suoi files), non esaurisce ogni vincolo di indisponibilità impresso col sequestro: la liberazione del corpus mechanicum non comprende quella del corpus mysticum., che solo il rimedio del riesame sarebbe in grado di affrancare.

Simile persistenza del vincolo sarebbe chiaramente descritta nell’art. 258 c.p.p., laddove stabilisce l’obbligo di menzione del sequestro esistente, da parte del pubblico ufficiale che rilasci copie di documenti i cui originali gli sono stati restituiti dall’autorità giudiziaria. Ma il fenomeno dovrebbe anche riconoscersi nel potere del p.m., previsto nella stessa norma, di estrarre copia di atti e di documenti già oggetto di sequestro, benché sia stata disposta la loro restituzione.

6. Ora si deve dubitare del fatto che gli eventi appena rammentati siano realmente espressivi di vincoli derivanti dal provvedimento di sequestro sopravvissuti alla restituzione della res, secondo l’art. 262 c.p.p. Norma che, ponendo l’alternativa tra la restituzione e il mantenimento del sequestro, sembra invece indicare la restituzione come causa di cessazione dell’efficacia della misura.

Da un lato il primo caso prova troppo, nel senso che la “restituzione” dell’originale ai pubblici ufficiali contemplata nell’art. 258 comma 2 del codice di rito è qualitativamente diversa dalla restituzione del bene, sia pure esso un documento, a chi su di esso vanti un diritto iure privatorum, e costituisce soltanto una modalità esecutiva di un sequestro tuttora in atto. L’autorità giudiziaria, nella perdurante esecuzione del sequestro, si avvale della collaborazione di uffici pubblici ai quali riconsegna gli originali dei documenti, perché, ferma restando l’intangibilità del vincolo, se ne possano servire per gli interessi compatibili da loro perseguiti.

Invece, in ordine all’estrazione di copie, la dizione del comma 1 dell’art. 258 c.p.p. (“L’autorità giudiziaria può fare estrarre copia degli atti e dei documenti sequestrati, restituendo gli originali, e, quando il sequestro di questi è mantenuto, può autorizzare la cancelleria o la segreteria a rilasciare gratuitamente copia autentica a coloro che li detenevano legittimamente”), simmetrica a quella del comma 1 del successivo art. 262, orienta nel senso che, con la restituzione al privato del documento originale, si è esaurita l’efficacia del provvedimento di sequestro probatorio, secondo la norma generale. Talché già per questo argomento letterale può dirsi che l’ordine di estrazione di copia non è una manifestazione della sopravvivenza del sequestro, ma costituisce un provvedimento ulteriore rispetto alla misura del sequestro probatorio.

7. Altre considerazioni, del resto, convergono sull’affermazione dell’autonomia del provvedimento acquisitivo di copia.

In primo luogo il presupposto di tale acquisizione non è indefettibilmente collegato al sequestro probatorio. Tale acquisizione, infatti, può anche avvenire all’esito di perquisizione non seguita da successivo sequestro, di consegna spontanea o di adempimento al dovere di esibizione.

In secondo luogo l’estrazione di copia, pure quando è collegata al sequestro probatorio, si presenta tuttavia come frutto di autonoma determinazione discrezionale (gli originali possono essere restituiti senza che ne sia stata estratta copia) e pertanto richiede una giustificazione della rilevanza probatoria dell’acquisizione, che non può certo esaurirsi nella menzione dell’esistenza di un pregresso provvedimento con cui si è resa temporaneamente indisponibile a fini probatori la cosa oggetto di copia.

Corollario del discorso è allora quello che il provvedimento di acquisizione di copia, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, non è soggetto a riesame o a altre forme di gravame.

8. Ma- può per contro osservarsi- ammettere tutto ciò comporta, appunto, solo che l’ordine di estrazione di copia non è di per sé impugnabile e che dunque non si può far istanza di riesame di questo ordine, perché venga restituita la copia.

Tanto, però, non corrisponde a negare che, attraverso il riesame del sequestro di cui sia cessata l’efficacia per restituzione della cosa, si possa comunque evitare che l’acquisizione documentale in copia, ai sensi dell’art.258 c.p.p., entri a far parte del patrimonio probatorio utilizzabile. E ciò perché, pur essendo avvenuta la restituzione, l’eventuale annullamento del sequestro, operato a conclusione del riesame, travolgerebbe il presupposto di validità del conseguente provvedimento di acquisizione probatoria, rendendolo a sua volta invalido.

D’altronde che proprio questa sia la funzione che il sistema assegna all’istituto del riesame dei sequestri dovrebbe inequivocabilmente ricavarsi, secondo l’ulteriore affermazione comune ai sostenitori della tesi respinta, dal fatto che l’art.322 c.p.p. (al quale il precedente art.257 rinvia), nell’enumerare i soggetti legittimati alla richiesta, indica tanto la persona cui le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, quanto l’imputato e il suo difensore. Soggetti, gli ultimi due, che dunque hanno diritto a veder risolto il quesito di validità del provvedimento sottoposto al Tribunale, a prescindere da ogni rapporto con la cosa sequestrata e quindi anche dalla sua avvenuta restituzione.

9. Così argomentando, tuttavia, anche ad ammettere che tra sequestro probatorio ed estrazione della copia sussista una dipendenza tale da comportare una propagazione della nullità, non ci si avvede che, mentre il riesame proposto nel tempo in cui il bene è sottoposto a vincolo è sorretto da un interesse immediato ed attuale (la restituzione appunto), non è sorretto da analogo interesse il riesame inteso ad espungere dal patrimonio probatorio un’acquisizione documentale di cui non è in atto l’utilizzazione. Utilizzazione che poi non è nemmeno certa, dipendendo dalle future strategie che le parti riterranno opportuno adottare secondo lo sviluppo ulteriore delle indagini e l’andamento del successivo giudizio.

E, seppure tanto non bastasse, occorrerebbe ancora ricordare che il requisito dell’interesse che deve assistere ogni impugnazione, compreso il riesame, è insito nella domanda di un possibile ripristino di una posizione giuridica soggettiva che si prospetta come lesa, ma non lo è in una pretesa alla astratta legittimità del provvedimento. Sennonché la soluzione che il Tribunale del riesame è in grado di offrire circa la validità del sequestro probatorio, mentre ha indubbi riflessi concreti sulla restituzione della cosa sequestrata, ne avrebbe soltanto di teorici in ordine all’acquisizione della prova, i profili di legittimità e di utilizzabilità della quale non sarebbero in alcun modo pregiudicati da pronunzie assunte in sede incidentale, rispetto alle decisioni che si potranno adottare nel giudizio.

Né costituirebbe valido argomento replicare che il dato probatorio illegittimamente acquisito potrebbe determinare l'applicazione di misura cautelare, poiché neppure tale eventualità sarebbe scongiurata da una declaratoria d'illegittimità della prova in sede d'impugnazione del sequestro. Una tale declaratoria non avrebbe alcuna efficacia neanche nel procedimento, restando pur sempre nuovamente rimessa al giudice della misura cautelare la cognizione relativa alla legittimità, utilizzabilità e significatività dei mezzi di prova.

Si deve in altri termini ribadire che il giudicato nel procedimento incidentale riguarda solo il vincolo imposto dal provvedimento e ordinariamente non produce alcun effetto diverso, esaurendo completamente il proprio ambito con la pronuncia su quel vincolo (l'art. 405 c.p.p., comma 1 bis risultando l’unica eccezione esplicitamente prevista dalla legge).

10. Per persistere nell’idea che il Tribunale debba rispondere alla richiesta di riesame nonostante la restituzione della cosa, occorrerebbe allora sostenere che il comma 1 dell’art. 322 c.p.p. si contrappone in maniera vistosa al principio generale espresso dal comma 4 dell’art. 568 dello stesso codice. Ma è canone ermeneutico fondamentale quello di prediligere tra le varie scelte possibili l’interpretazione che più si armonizza col sistema, sicché è corretto credere invece che l’art. 322 c.p.p. si limita soltanto ad elencare i soggetti legittimati a proporre la richiesta di riesame, laddove questa deve pur sempre essere sorretta da un interesse concreto ed attuale, derivante, per ogni legittimato, dalla menomazione di una qualunque situazione giuridica soggettiva sulla cosa, apportata con il vincolo impresso dal sequestro. Menomazione che, per quanto sopra detto, cessa con la restituzione della cosa medesima ai sensi dell’art. 262 c.p.p.

11. Resta così confermato che, anche nel caso del sequestro probatorio, il giudizio di riesame ( e l’eventuale ricorso in Cassazione) sono funzionali a rimuovere le misure restrittive per le quali non sussistono i requisiti richiesti dalla legge.

Se questa è la funzione del controllo incidentale, ne discende che la restituzione dei beni sequestrati fa cessare l’interesse all’impugnazione. Il provvedimento limitativo del diritto sulla cosa si è già esaurito e l’interessato non ha alcuna ragione specifica per attivare o coltivare, a seconda del momento della restituzione, la procedura incidentale.

Conclusione, questa, che lungi dal contrapporsi, si armonizza, infine, con quanto ritenuto da S.U. 16 aprile 2003, n.21420, Monnier, rv.224184, decisione per la quale è ammissibile la richiesta di riesame di una rogatoria diretta all’estero per richiedere l’esecuzione di un sequestro probatorio. Benché il decreto di sequestro, implicito nella richiesta di rogatoria, non sia stato ancora eseguito, l’interesse dell’istante è infatti certamente ulteriore rispetto a quello della mera legittimità teorica della richiesta e anche in questo caso si concreta nell’intento di impedire che il decreto implicito, sia pure attraverso la mediazione dell’atto estero, acquisti la tipica efficacia di imporre il vincolo di indisponibilità sulla cosa che intende acquisire.

12. Il ricorso deve quindi essere respinto e il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.