Con la decisione in esame, le Sezioni Unite - in una fattispecie di estorsione in concorso nella quale uno dei ricorrenti lamentava il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, già riconosciuta al solo concorrente che aveva provveduto al risarcimento del danno alla persona offesa -, dopo aver precisato che la condotta riparatrice non si fonde nella struttura unitaria del reato di cui all’art.110 c.p. ed aver escluso l’operatività dell’art.118 c.p., diretto a dettare per i singoli compartecipi i criteri di imputazione delle conseguenze degli elementi accidentali dell’illecito concorsuale nella sua struttura monistica, hanno affermato il principio che l’estensione dell’attenuante del risarcimento del danno al colpevole non può discendere dal semplice soddisfacimento dell’obbligazione risarcitoria ad opera del coobbligato solidale e dalle norme che presidiano l’estinzione delle obbligazioni da illecito, ciò in quanto nei reati dolosi si richiede “una concreta, tempestiva, volontà di riparazione del danno cagionato”, in modo che, se uno dei correi ha già provveduto in via integrale, l’altro, per esempio, dovrà nei tempi utili rimborsare il complice più diligente o comunque dimostrare di aver avanzato una seria e concreta offerta di integrale risarcimento.
Testo Completo:
Sentenza n. 5941 del 22 gennaio 2009 - depositata il 11 febbraio 2009(Sezioni Unite Penali, Presidente T. Gemelli, Relatore A. S. Agrò)
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Sentenza n. 5941 del 22 gennaio 2009 - depositata il 11 febbraio 2009(Sezioni Unite Penali, Presidente T. Gemelli, Relatore A. S. Agrò)
Ritenuto in fatto
1. Il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Milano, con sentenza 21 maggio 2002, dichiarava Antonio Faraci, Andrea Pagani, Marco Zaldini e Aldo De Angelis responsabili di estorsione in danno di Pasquale Volpe e di Antonio Volpe (capo 2 dell'imputazione), il Faraci e il De Angelis di rapina aggravata in danno di Vincenzo Gerace e Pasquale Volpe (capo 1), il Faraci e il Pagani di altro episodio di rapina aggravata in danno di Mirko Sibilio (capo 3) e ancora il Faraci e il Pagani di cessione di cocaina al Sibilio (capo 4). Concedeva a tutti gli imputati le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate e, al solo Faraci, anche l'attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6 cod. pen.).
2. L'accertamento delle vicende da parte di questa decisione può così riassumersi: Antonio Faraci e Andrea Pagani vantavano un credito verso Mirko Sibilio per la cessione di alcune dosi di cocaina. Poiché il Sibilio tardava nel pagamento, i due si facevano consegnare, minacciandolo, un cellulare e un orologio. Si recavano poi con il Sibilio nella stanza che occupava con Vincenzo Gerace, nell'appartamento di Pasquale Volpe,. Qualche tempo dopo il Feraci, il cui credito non era stato ancora soddisfatto, tornava nell'appartamento alla ricerca del Sibilio, accompagnato da Aldo De Angelis e da un non meglio identificato Alessio. Quivi, non avendo trovato il Sibilio, con violenza e minaccia al Gerace gli sottraevano la somma di cinquantamila lire e, entrati nella stanza del Volpe si impossessavano di una serie di oggetti. In seguito il medesimo Faraci, insieme al Pagani, al De Angelis e a Marco Zaldini che lo accompagnavano, si facevano consegnare da Pasquale Volpe e Antonio Volpe la somma di 530.000 lire per restituire parte degli oggetti provento della rapina appena ricordata.
3. Con sentenza del 12 giugno 2003 la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, riformulato in termini di prevalenza il giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. espresso dal primo giudice, riduceva a tutti gli imputati le pene inflitte, confermando nel resto la decisione di prime cure.
4. Contro questa pronunzia ha proposto ricorso per cassazione il De Angelis, articolando due motivi di impugnazione. Quanto al primo, in violazione di legge e con manifesta illogicità della motivazione, la Corte avrebbe ritenuto provata la responsabilità del De Angelis in ordine ad entrambi i reati contestati motivando sulla base delle stesse considerazioni svolte dal giudice di prime cure, in particolare ritenendo provata la responsabilità per il delitto di estorsione senza tener conto degli elementi positivi che in fase di indagini preliminari riscontravano l'insussistenza del reato de quo. Infatti nessuna minaccia o violenza sarebbe stata perpetrata nei confronti delle persone offese né dal De Angelis né dai correi. Difettava l'elemento oggettivo del reato di estorsione, in quanto una delle persone offese si era determinata volontariamente a proporre il pagamento per la restituzione dei beni sottratti; di contro, la Corte d'appello - secondo il ricorrente - aveva concluso "con un salto logico del tutto indimostrato" che tale volontà risultava essere stata coartata dalle circostanze, le quali, invece, erano elementi probanti dell'altro reato contestato, ovvero la rapina aggravata. A tal proposito il ricorrente, pur richiamando l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui sono indifferenti le forme e le modalità della "minaccia" ai fini della configurabilità del reato, ritiene non applicabile al caso concreto tale orientamento "difettando nel racconto delle parti offese un qualsiasi elemento da cui evincere condizionamenti diretti o indiretti in azioni commesse da parte del ricorrente e dai coimputati che abbia coartato o indotto la richiesta del sig. Volpe di offrire un pagamento per ritornare in possesso delle cose sottratte; risulta, invece, provato che tale volontà di autodeterminarsi è stata libera e priva di condizionamenti". Ancora, e sempre con il primo motivo, il De Angelis lamenta la mancata concessione dell'attenuante del contributo di minima importanza (art. 114 cod. pen.), avendogli la sentenza d'Appello attribuito "apoditticamente" un ruolo di partecipe in entrambi i reati attribuitigli, senza tener conto che, privo di alcun ruolo nella preparazione dei reati, egli avrebbe in realtà avuto una partecipazione irrilevante nella fase esecutiva di ambedue le vicende senza apportare alcun contributo all'azione delittuosa contestata. Censura, quindi, la motivazione "estremamente deficitaria" della sentenza del giudice d'appello rispetto alle emergenze del fatto, ricavabili dalle dichiarazioni delle persone offese e dei testimoni, da cui risulterebbe una aperta dissociazione dall'azione dei correi pur in presenza di questi sul luogo del commesso reato.Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell'errore di applicazione della legge penale (art. 132 e 133 cod. pen.) nonché del vizio di motivazione nella commisurazione della pena applicata per il reato continuato. Ciò discenderebbe dall'aver la Corte d'Appello (pur riducendo la pena, a seguito della riformulazione del giudizio di comparazione in termini di prevalenza tra generiche ed aggravanti) assunto quale pena base quella per il delitto di estorsione, ritenuto più grave, così discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità che afferma la necessità di assumere quale pena base il reato che ha in astratto il massimo edittale più elevato. In ossequio a tale orientamento avrebbe dovuto essere assunta quale pena base quella prevista per il reato di rapina aggravata di cui all'art. 628, commi primo e terzo, c. p. (capo 1). La sentenza, insomma, risulterebbe del tutto priva di motivazione in relazione al calcolo effettuato per la commisurazione della pena e ciò anche per la parte che attiene alla valutazione della gravità del fatto ex art. 133 c.p.
5. Ha parimenti proposto ricorso per cassazione il Pagani, articolando tre motivi.
Con il primo il ricorrente lamenta che nella sentenza della C.A. di Milano difetterebbe qualsiasi riferimento al concreto ruolo svolto dal Pagani nella vicenda estorsiva, come emersa dalle dichiarazioni delle parti offese e dalla confessione del coimputato De Angelis. In particolare, secondo il ricorrente, pur essendo stato fatto oggetto di specifica doglianza tale punto, la Corte meneghina si sarebbe in realtà limitata ad operare un generico riferimento alle dichiarazioni del De Angelis, in realtà del tutto inconferenti. Gli elementi indicati in sentenza non spiegherebbero alcunché in ordine al contributo causale a titolo di concorso del Pagani in relazione al reato di estorsione. Anzi la Corte avrebbe forzato "il dettato codicistico in punto di indizi ed attendibilità, così come previsto dall'art. 192, c. 2 e 3, c.p.p.", giungendo ad affermare la responsabilità penale del Pagani "in forza di un elemento probatorio duplicemente indiretto". Dalle dichiarazioni rese dal De Angelis non risulterebbe alcun apporto causale del Pagani rispetto al delitto di estorsione. Non avendo quest'ultimo partecipato alla rapina (capo 1) né potendo altrimenti riconoscere le reali intenzioni del Faraci, ne discenderebbe che "l'affermazione della penale responsabilità, a titolo di concorso, del delitto di cui all'art. 629 c.p., integra una palese violazione dei criteri che presiedono all'applicazione dell'art. 110 c.p., oltre ad essere completamente immotivata". Nel secondo motivo di ricorso, il ricorrente contesta la qualificazione giuridica del fatto descritto al capo 3 (rapina aggravata in concorso ai danni di Mirko Sibilio), in quanto difetterebbero nella vicenda gli estremi della violenza alla persona o della minaccia. D'altronde sia la condotta minacciosa che il successivo impossessamento ai danni del Sibilio sarebbero avvenuti per mano del solo Faraci, senza quindi un ruolo concorsuale del Pagani. Il riferimento, contenuto in sentenza, alla presenza del Pagani, rappresenterebbe una formula di stile, comportando la violazione dell'art. 110 c. p., non potendosi tale presenza considerare rilevante ai fini dell'affermazione della responsabilità a titolo di concorso sulla base di una valutazione del tutto arbitraria della possibilità per il Sibilio di reagire alle minacce del Faraci passando alle vie di fatto, costituendo la stessa una presunzione di ordine logico ed ipotetico. Sul punto, nel ricorso si richiama la giurisprudenza che ritiene insufficiente la mera conoscenza o l'adesione morale ai fini della configurabilità del concorso di persone ex art. 110 c. p.. Da ultimo, sempre secondo la difesa del ricorrente, non sussisterebbe l'aggravante del numero delle persone (art. 628, comma terzo, n. 1, c. p.).
La circostanza che le persone siano solo due (Faraci e Pagani) non consentirebbe di ritenerla configurabile, laddove si consideri che per l'aggravante di cui all'art. 112, n. 1 c. p. ne occorrono almeno cinque. In ogni caso, infine, pur essendo tale circostanza indicata nel capo di imputazione, non risulterebbe contestata in fatto né la motivazione della sentenza dedica argomentazioni sulla sua configurabilità, con conseguente vizio di mancanza di motivazione. Quanto, infine, al terzo motivo, si eccepisce la violazione di legge con riferimento alla (mancata) applicazione dell'attenuante del contributo di minima importanza ex art. 114 c. p., richiamando quella giurisprudenza che la ritiene sussistente quando l'efficacia causale della condotta del correo sia così lieve da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso. Ritiene, in particolare, il ricorrente che la condotta contestatagli avrebbe consentito il riconoscimento della predetta attenuante, in quanto il reato si sarebbe ugualmente verificato con le medesime modalità, anche senza l'attività del compartecipe Pagani. Peraltro, secondo la difesa del ricorrente, si sarebbe comunque trattato di un concorso anomalo, con conseguente necessità del riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 116 c. p. Si precisa che la condizione ostativa prevista dall'art. 114, comma secondo, c. p. non troverebbe applicazione nel caso in esame "in quanto l'attenuante in parola è invocata relativamente al delitto di cui al capo 2) e non al delitto di cui al capo 3), ove è contestata la suddetta aggravante". In ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 6 c. p., la difesa del ricorrente contesta la carenza di motivazione della decisione del giudice d'appello, che si sarebbe limitato ad affermarne la natura soggettiva. E tuttavia, secondo il Pagani, l'obbligazione risarcitoria derivante dal reato è unica anche se il reato è realizzato da più persone. La plurisoggettività della concreta fattispecie non scompone l'obbligazione risarcitoria, dando luogo a tante obbligazioni minori e separate quanti sono i debitori, vale a dire quanti sono i concorrenti nel reato. L'obbligazione resta unica ed i condannati per uno stesso reato sono obbligati al risarcimento del danno secondo le regole della solidarietà previste dagli artt. 1292 ss. c.c., ferme restando le peculiarità espresse dall'art. 2055 c.c. con specifico riferimento alle obbligazioni risarcitorie: il creditore può chiedere l'adempimento dell'obbligazione solidale ad uno qualsiasi dei condebitori; l'adempimento di questi produce effetti liberatori anche per gli altri ed estingue l'obbligazione. La dottrina più avveduta aveva già stroncato presupposti e conclusioni di quella giurisprudenza che rimarcava la connotazione soggettiva dell'attenuante, escludendo la necessità, ai fini della configurabilità della medesima, di una effettiva resipiscenza. La fondatezza delle critiche sarebbe indiscutibile; nella lettera dell'art. 62 n. 6, prima parte, c.p., non vi è traccia dell'invocata resipiscenza (atteggiamento personale richiesto, invece, per il riconoscimento della diversa circostanza attenuante di cui alla seconda parte della disposizione), ma piuttosto dell'esigenza oggettiva che il danno venga interamente riparato. Nell'ambito del concorso di persone, la prevalente giurisprudenza, sul presupposto della natura soggettiva dell'attenuante, ne affermava l'applicabilità al solo concorrente che avesse effettuato il risarcimento integrale, mentre gli altri concorrenti potevano beneficiarne solo se dimostravano di avere tempestivamente rimborsato la loro parte, prima del giudizio, al complice più diligente. Ma, dopo la sentenza della Corte Costituzionale 1998, n. 138, che ha stabilito come l'interpretazione della detta attenuante in chiave soggettiva, ravvisante in essa una finalità rieducativa, contrasterebbe con l'art. 3 Cost., la giurisprudenza avrebbe operato una decisa svolta. Insomma nel concorso di persone nel reato, rileva soltanto l'effettivo integrale risarcimento del danno, con la conseguenza dell'estensione dell'attenuante a tutti i concorrenti in caso di adempimento dell'obbligazione risarcitoria da parte di uno o di alcuni di essi. Nella specie è stata riconosciuta l'attenuante in parola al coimputato Faraci, che ha provveduto all'integrale risarcimento del danno, ma immotivatamente sarebbe stata negata al Pagani, dato che, secondo i principi civilistici, spetterebbe, poi, al Faraci l'esercizio dell'azione di regresso pro - quota nei confronti dei coimputati, debitori solidalmente obbligati al risarcimento del danno.
4. Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione penale di questa Corte, che con ordinanza del 16 ottobre 2008, lo ha rimesso alle Sezioni Unite per la risoluzione del quesito, su cui ha rilevato un contrasto di giurisprudenza, "se in tema di applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6) c.p., l'avvenuto risarcimento integrale del danno da parte di uno dei coimputati, determinando la conseguente estinzione dell'obbligazione risarcitoria, giovi o meno anche agli altri coimputati". Considerato in diritto1. Come si è detto in narrativa, il De Angelis, dopo una generica critica alla sentenza impugnata, che non avrebbe dato adeguata risposta ai motivi di appello sulla sua responsabilità, si duole dell'erroneo titolo di estorsione attribuito al fatto descritto al capo 2, in quanto nessuna minaccia o violenza era stata perpetrata a danno delle persone offese. La Corte d'Appello non avrebbe rilevato che mancava l'elemento oggettivo del reato ed anzi sarebbe chiara l'illogicità della decisione, la quale, pur avendo riconosciuto che il Volpe s'era determinato volontariamente a proporre il pagamento per la restituzione dei beni sottratti, aveva affermato la colpevolezza degli imputati.
La censura non ha tuttavia fondamento perché, con riguardo all'oggettività del reato, la pronunzia in esame, dopo aver ricordato la violenza fisica consistita nei due pugni assestati al Gerace durante le trattative per rientrare nel maltolto, si è espressamente richiamata alla condivisibile e assolutamente costante giurisprudenza di legittimità, concorde nel ritenere che il delitto di estorsione ai danni del derubato sussiste anche se l'iniziativa provenga da costui. Infatti il comportamento indotto alla corresponsione di denaro o di altra utilità per ottenere la restituzione della refurtiva è pur sempre determinato dalla minaccia implicita della perdita definitiva della cosa rubata ( ex multis: Sez. I, 6 giugno 1977 n. 11090, Langella, rv. 136769; Sez. II, 26 aprile 1978 n. 12245, Gargano, rv. 140144; Sez. I, 9 ottobre 1978 n. 935, Solazzo, rv. 140923; Sez. I, 2 marzo 1979 n. 5023, Bussolino, rv. 142118; Sez. II, 21 maggio 1979 n. 11097, Cinquegrana, rv. 143741; Sez. V, 9 ottobre 1980 n. 13504, Leoni, rv. 147100; Sez. II, 29 ottobre 1980 n. 2968, Natale, rv. 148287; Sez. II, 2 ottobre 1981 n. 975, De Feudis, rv. 151923; Sez. I, 5 marzo 1982 n. 9937, Di Cecca, rv. 155787; Sez. I, 10 maggio 1982 n. 11924, Pilone, rv. 156649; Sez. II, 2 febbraio 1982 n. 1143, Rizzo, rv. 157342; Sez. II, 8 giugno 1983 n. 8224, Praino, rv. 160628; Sez. II, 23 maggio 1983 n. 10433, Prezioso, rv. 161549; Sez. II, 16 giugno 1986 n. 9788, Gatti, rv. 173800; Sez. VI, 30 marzo 1990 n. 11713, Brugnara, rv. 185152). 2. Ad eguale conclusione di infondatezza deve poi pervenirsi in ordine all'asserita configurabilità dell'attenuante del contributo di minima importanza, in primo luogo perché la censura muove da una parziale ricostruzione della vicenda (trascura significativamente che nella pronunzia impugnata si è escluso il carattere minimale della partecipazione "quantomeno sotto il profilo del controllo delle persone e dei luoghi teatro dei fatti. Senza contare che la presenza fisica dell'appellante accrebbe proporzionalmente la capacità intimidatoria delle richieste e dei comportamenti, anche quando provenienti di correi"). In secondo luogo ( e risolutivamente) perché, in diritto, non è applicabile l'attenuante in parola nei casi, quali quello di specie, in cui, pur a prescindere dalla formale contestazione dell'aggravante, la minaccia estorsiva appaia commessa da più persone riunite (riferimento dell'art.629 comma secondo c.p. al comma terzo n.1 del precedente art.628). Ciò in forza della riserva alla "legge che disponga altrimenti" contenuta nell'art.112 n.1 c.p., implicitamente richiamata nel divieto dell'art.114 secondo comma c.p. (cfr. Sez. II, 26 ottobre 1989 n. 3792, Casaroli, rv. 183723; Sez. II, 8 maggio 1996 n. 6382, Arcella ed altri, rv. 205409; Sez. VI, 17 ottobre 2002 n. 6250, Emmanuello ed altri, rv. 225925 e in generale, per l'inapplicabilità dell'art. 114 cod. pen. anche nell'ipotesi in cui il numero dei partecipanti sia considerato come aggravante speciale di un determinato reato da una norma diversa dall'art. 112 cod. pen.: Sez. IV, 27 novembre 1992 n. 3177, Santus ed altri, rv. 198437). 3. Nell'ulteriore motivo, il ricorrente deduce l'inosservanza della legge penale, con riferimento agli artt. 132 e 133 c. p. e si duole del fatto che, nel calcolo della pena base, la Corte abbia considerato più grave il reato di estorsione invece del reato di rapina. La censura è manifestamente infondata essendo sufficiente rilevare che la Corte d'Appello, nel rideterminare la pena applicabile per i reati in continuazione, ha ritenuto prevalenti le attenuanti generiche sulle aggravanti ed ha assunto quale pena base per il calcolo della pena quella prevista per il delitto di estorsione, reato più grave in quanto, a parità di massimo edittale, più gravemente punito nel minimo edittale (art. 629, comma primo, c.p.: reclusione da cinque a dieci anni e multa da euro 516 ad euro 2.065; art. 628, comma primo, c.p.: reclusione da tre a dieci anni e multa da euro 516 a euro 2.065). Anche con riferimento alla determinazione della pena il De Angelis lamenta infine un vizio di motivazione, doglianza peraltro del tutto generica, a fronte dei minimi edittali inflitti in sede di merito. 4. Venendo al ricorso del Pagani, costui, nel primo motivo, contesta di aver avuto un ruolo nell'estorsione di cui al capo 2, tanto sotto il profilo oggettivo, quanto sotto quello psicologico. Assume, in altri termini, che non può trarsi alcun contributo causale a lui riconducibile dal fatto che era stato presente sul luogo in attesa del ritorno dei coimputati Faraci e Zaldini, specie considerando che egli non aveva consapevolezza del senso della vicenda, non avendo partecipato alla rapina che l'aveva originata né potendo altrimenti conoscere le reali intenzioni del Faraci. A tale motivo ha già peraltro dato compiuta risposta la sentenza impugnata, laddove ha sottolineato che l'adesione del ricorrente all'impresa era invece desumibile dalla circostanza ricordata dal De Angelis, nelle sue dichiarazioni auto ed etero accusatorie, di aver incontrato il Faraci in compagnia del Pagani e dell'aver in questa occasione il Faraci richiesto al dichiarante e allo Zaldini di accompagnarli, lui e il Pagani, in casa Volpe per scambiare la refurtiva con denaro. Né il ricorrente può validamente dolersi dell'omissione di riscontri al racconto del De Angelis, in quanto a tal fine la Corte d'Appello ha indicato il riconoscimento fotografico operato da Antonio Volpe, in una con la descrizione di Vincenzo Gerace. Infine, in ordine alla sussistenza del contributo causale, basta ripetere che l'incarico di rimanere sul luogo, in attesa che Faraci e Zaldini facessero ritorno con la merce, si qualifica come ruolo di assistenza, vigilanza e controllo verso possibili pericoli esterni, per la buona riuscita dell'impresa criminale.
5. Con il secondo motivo, riguardante la rapina al Sibilio, il ricorrente si limita in larga misura a ripetere le doglianze già avanzate in appello, insistendo nelle proprie tesi e senza una vera replica agli argomenti già impiegati per la loro confutazione. Così nulla oppone al fatto rilevato nella sentenza che, nel racconto del Sibilio e nelle ammissioni del correo, la condotta minacciosa dello spacciatore Faraci si esteriorizzò nell'intonazione della voce, nella sottrazione di oggetti e nella distruzione della scheda prepagata; che nel concorso di persone tutti i concorrenti rispondono per l'intero della pluralità di condotte, con la conseguenza che, nella specie, il Pagani è anche autore delle minacce del Faraci. E contravviene al senso comune quando definisce arbitraria la massima di esperienza per cui il vedere più persone scoraggia la vittima ad intraprendere una reazione che verso il singolo avrebbe intrapreso, sicché già il fiancheggiare il rapinatore, mostrando di condividerne le intenzioni, costituisce contributo al reato.Quanto, poi, alla doglianza relativa al riconoscimento dell'aggravante speciale della violenza esercitata da più persone riunite (non configurabile, a giudizio del ricorrente, essendo stato il fatto posto in essere solo da due persone) va confermato l'orientamento giurisprudenziale per cui la locuzione impiegata nell'ultima delle ipotesi previste dall'art. 628, comma terzo, n. 1, c.p. esprime un concetto di pluralità che sussiste anche nel caso di due soggetti soltanto (cfr. Sez. II, 27 marzo 1987 n. 8773, Pesenti, rv. 176467; Sez. II, 16 giugno 1986 n. 9794, Lazzaro, rv. 173802). 6. Circa il terzo motivo, nella parte in cui fa riferimento alla configurabilità dell'attenuante della minima partecipazione, è sufficiente riferirsi a quanto detto al n.2 con riguardo alla medesima censura avanzata dal De Angelis. Nella parte in cui invoca l'attenuante del concorso anomalo va poi rilevata l'assoluta genericità della doglianza, che peraltro presuppone, per implicito, una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta in sede di merito, dove, come s'è visto, è stata accertata un'adesione del Pagani al reato di estorsione ideato e posto in essere. E si giunge così all'ultima delle doglianze espresse, quella sull'applicabilità al ricorrente dell'attenuante di cui all'art.62 n.6 c.p., dato che il correo Faraci aveva nei tempi prescritti provveduto all'integrale risarcimento del danno per il reato più grave di cui al capo 2, questione che ha dato luogo alla rimessione del ricorso alle Sezioni Unite. 7. A questo proposito la giurisprudenza, con indirizzo pressocché unanime, nega che il colpevole possa giovarsi del risarcimento effettuato da un terzo ( Sez. IV, 3 dicembre 1965 n. 2552, Segreti, rv. 101718; Sez. V, 7 giugno 1967 n. 894, Truppa, rv. 105466; Sez. V, 8 febbraio 1968 n. 128, De Vito, rv. 107577; Sez. II, 25 marzo 1968 n. 767, Santi, rv. 108933; Sez. II, 24 gennaio 1972 n. 4021, Trivetti, rv. 121265; Sez. IV, 11 aprile 1975 n. 9252, Miglio, rv. 130916;Sez. VI, 17 ottobre 1978 n. 16038, Martino, rv. 140728;Sez. VI, 7 aprile 1979 n. 1303, Michelazzi, rv. 144151; Sez. II, 26 giugno 1979 n. 1161, Tornatore, rv. 144105;Sez. I, 12 dicembre 1980 n. 1326, Zucchelli, rv. 147707; Sez. II, 8 giugno 1981 n. 11096, Valli, rv. 151307;Sez. II, 18 ottobre 1982 n. 3101, Gobbo, rv. 158387;Sez. I, 17 dicembre 1982 n. 3284, Ciuffreda, rv. 158452;Sez. IV, 11 ottobre 1984 n. 2481, Locatelli, rv. 168326; Sez. II, 12 ottobre 1987 n. 3971, Pezzotta, rv. 177977;Sez. II, 25 agosto 1988 n. 1517, Marchini, rv. 180368;Sez. IV, 11 febbraio 1988 n. 2263, Catto, rv. 180487; Sez. II, 17 marzo 1989 n. 9341, Danovara, rv. 181747;Sez. IV, 13 dicembre 1989 n. 1670, Fusaro, rv. 183238;Sez. IV, 11 ottobre 1990 n. 15583, Bonazzoli, rv. 185862; Sez. IV, 15 gennaio 1991 n. 4441, Ciancimino ed altri, rv. 187777; Sez. IV, 13 gennaio 1993 n. 2336, Di Carlo, rv. 193341; Sez. V, 10 febbraio 1993 n. 2663, Dottore Stagna, rv. 194337; Sez. VI, 8 ottobre 1993 n. 596, P.G. in proc. Prini, rv. 196123; Sez. II, 23 novembre 1993 n. 2282, Perfetti ed altro, rv. 196786; Sez. VI, 25 novembre 1993 n. 897, Ceglie, rv. 197360; Sez. I, 29 novembre 1995 n. 1723, Sapienza, rv. 203704; Sez. I, 17 gennaio 1997 n. 2658, Lo Nero ed altri, rv. 224237; Sez. V, 25 febbraio 2000 n. 996, P.G. in proc. Fagiuoli, rv. 216459; Sez. IV, 3 giugno 2004 n. 39065, P.M. in proc. Turla, rv. 229957; Sez. VI, 9 novembre 2005 n. 46329, Caputo, rv. 232837) e ciò basandosi sulla natura soggettiva dell'attenuante di cui all'art.62 n.6 c.p., rientrante tra quelle concernenti i rapporti tra il colpevole e l'offeso ai sensi dell'art.70 c.p., attenuante da intendersi (con varianti lessicali, ma non sostanziali) quale segno di diminuita capacità a delinquere (S.U. 29 ottobre 1983 n.145, Del Fa, rv.162036) o di resipiscenza (S.U. 6 dicembre 1991 n.1048, Scala e altri, rv.189183) o di ravvedimento attivo (S.U. 12 luglio 2007 n.35535, Ruggiero, rv.236914). Orientamento che testimonia la fedeltà all'intento del legislatore per come rispecchiato nella Relazione ministeriale di accompagnamento al Codice, in cui si legge che " la riparazione del danno come diminuente comune ad ogni reato era auspicata da una gran parte della dottrina. Il Progetto limita tuttavia questa circostanza entro confini ragionevoli, considerandola, non tanto dal punto di vista pratico, come causa cioè che facilita il soddisfacimento degli interessi della persona offesa dal reato, quanto dal lato psicologico e volontaristico, ossia della condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere. E' soprattutto, per questo motivo che la riparazione deve verificarsi prima del giudizio, e che non è stata accolta la proposta di estenderne l'efficacia a momenti successivi e, secondo alcuni, fino a che non fosse intervenuta sentenza irrevocabile...." (Relazione ministeriale di accompagnamento al Libro I del Progetto, Roma, 1929, 118). Orientamento che peraltro è stato sottoposto a riserve e a critiche in sede dottrinale in cui alcune autorevoli voci hanno preferito accogliere la tesi del carattere oggettivo della circostanza, tesi cui ha poi aderito la sentenza n.138 del 1998 della Corte Costituzionale per argomentare la riferibilità all'assicurato contro la responsabilità civile verso terzi derivante dalla circolazione dei veicoli del risarcimento operato dall'ente assicuratore. 8. Ma accantonando, per il momento, la discussione sulla natura dell'attenuante, bisogna subito osservare che il problema qui in esame può apparire ed è stato spesso ritenuto specifico, rispetto a quello generale della comunicabilità al colpevole del risarcimento operato dal terzo. Ciò per il fatto che nel nostro caso il terzo autore del risarcimento è un concorrente nel reato, con la conseguenza che l'art.118 c.p., diretto a regolare l'imputazione delle circostanze ai concorrenti, potrebbe essere individuato, e sovente lo è stato, come chiave risolutiva del quesito. 9. In tale prospettiva, anteriormente alla riforma apportata a questa disposizione dall'art.3 della legge 7 febbraio 1990, n.19, l'affermata natura soggettiva dell'attenuante ai sensi dell'art.70 c.p., è valsa a fornire immediatamente la risposta, perché, dato il precedente tenore dell'articolo oggi modificato, si doveva necessariamente concludere per la non comunicabilità al concorrente del risarcimento del danno operato da altro concorrente.Risultato, questo, cui infatti sono pervenute Sez. II, 24 gennaio 1972 n. 4021, Trivetti, rv. 121265; Sez. VI, 17 ottobre 1978 n. 16038, Martino, rv. 140728; Sez. II, 8 giugno 1981 n. 11096, Valli, rv. 151307, che prende atto della natura soggettiva e della conseguenziale inestensibilità agli altri compartecipi ex art. 118 c. p. Analogamente Sez. II, 18 ottobre 1982 n. 3101, Gobbo, rv. 158387; Sez. I, 12 dicembre 1980 n. 1326, Zucchelli, rv. 147707, che richiama a sostegno dell'inapplicabilità dell'attenuante in esame il disposto dell'art. 118 c.. p., affermando che proprio per la sua natura soggettiva l'attenuante "in quanto relativa ai rapporti tra il colpevole e l'offeso del reato, è applicabile soltanto a colui che, tra più colpevoli, abbia provveduto al risarcimento del danno, mostrando così quel ravvedimento attivo, in cui la circostanza trova il suo fondamento, ma non può invece essere estesa ai sensi dell'art. 118 c.p., ai concorrenti nel reato che non abbiano attivamente e personalmente collaborato al risarcimento e, quindi, all'elisione degli effetti dannosi del reato".
Nello stesso senso, Sez. II, 12 ottobre 1987 n. 3971, Pezzotta, rv. 177977, in una fattispecie relativa a ricettazione, muovendo dalla natura soggettiva in quanto "l'avvenuto ristoro del danno rappresenta una tangibile manifestazione di ravvedimento del reo e di una minore pericolosità sociale". Sez. IV, 30 novembre 1988 n. 12179, P.G. Venezia in proc. Menoia ed altri, rv. 179890 in una fattispecie di furto aggravato in concorso, in cui la restituzione delle refurtiva era avvenuta da parte di un solo dei correi, aveva escluso la concessione dell'attenuante ai concorrenti che non avevano risarcito "in ragione della sua natura soggettiva, a ciò ostando il disposto dell'ultimo comma dell'art. 118 c. p.". Si limita, infine, a ribadire la natura soggettiva e l'inestensibilità al correo dell'attenuante, richiamando implicitamente la disciplina dettata dall'art. 118 c. p., Sez. II, 25 agosto 1988 n. 1517, Marchini, rv. 180368, affermando che la stessa "opera solo nei confronti del concorrente o dei concorrenti che abbiano provveduto a risarcire il danno prima del giudizio e non si estende agli altri concorrenti".Va da sé che accogliendo l'idea che la circostanza in esame abbia natura oggettiva il risultato doveva ribaltarsi, nel senso cioè che l'applicazione della norma dell'art.118 c.p. avrebbe invece comportato l'estensione dell'attenuante a tutti i concorrenti. 10. In ogni modo, restando sempre in questa prospettiva, una volta intervenuta nel 1990 la modifica all'art.118 c.p., sarebbe stato inevitabile che la questione dovesse rimeditarsi. La nuova formulazione della regola di imputazione delle circostanze, per la quale le aggravanti o le attenuanti concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti la persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono, avrebbe infatti impedito di mantenere ferma la spiegazione dell'inapplicabilità, attraverso unicamente il richiamo alla natura soggettiva dell'operato risarcimento. Simile attenuante, pur essendo in tesi soggettiva, ma rientrando nella categorie di quelle riguardanti i rapporti tra colpevole e persona offesa e non figurando dunque tra le escluse dalla comunicabilità, sembrava adesso doversi riferire a ogni concorrente nel reato. Talché, onde persistere nel negare un tale risultato, o si sarebbe dovuta abbandonare l'idea che la riparazione riguarda i rapporti tra il colpevole e l'offeso dal reato (per rientrare piuttosto in una delle categorie non estensibili), oppure si sarebbe dovuto affermare che l'art.118 c.p., nella sua attuale formulazione, fornisce soltanto una regola di esclusione, ma non reca a contrario una regola di inclusione, ovvero, in altri termini, non comporta che le circostanze non menzionate debbano necessariamente applicarsi a tutti gli autori del reato, in quanto fa un implicito rinvio ad altri principi per l'imputazione o meno di esse ai concorrenti.
Entrambe le strade si mostravano impervie. In primo luogo si sarebbe dovuta misconoscere la riconduzione della circostanza in esame ai rapporti tra colpevole e offeso, per oltre settanta anni pacificamente accettata da quanti, in giurisprudenza e in dottrina, ne affermavano la natura soggettiva e ciò per suggerirne una collocazione ben più problematica (intensità del dolo ex post ? inerenza alla persona del colpevole, oltre l'imputabilità e la recidiva?). D'altro canto, non ammettendo il valore di regola positiva alla non menzione dell'art.118, era ben difficile uscire dalla vaghezza e dal soggettivismo del giudice nella ricerca dei principi (unici o plurimi?) regolatori l'imputazione ai concorrenti, mentre, sotto un profilo dogmatico, si sarebbe dovuto negare che le circostanze, quali esse siano, in armonia con la struttura unitaria del reato concorsuale, si comunicano naturaliter a tutti i concorrenti, salvo le eccezioni espressamente poste dal legislatore e fermi i requisiti di attribuzione al soggetto di cui all'art.59 c.p. 11. Fatta questa premessa, bisogna però immediatamente dire che, ai fini della risoluzione del quesito, non è proficuo addentrarsi nella problematica appena indicata, in quanto, a monte, le Sezioni Unite ritengono che, ai fini della riferibilità al colpevole, non sussista uno speciale regime del risarcimento operato dal correo rispetto a quello eseguito da un qualsiasi terzo e cioè affermano che una corretta esegesi del dato normativo comporta l'inapplicabilità alla specie dell'art.118 c.p. E' a tal fine opportuno ricordare che la circostanza del risarcimento del danno, in questo senso sola tra le attenuanti comuni, suppone necessariamente che il reato a cui si riferisce sia stato già consumato. Cosa che si palesa con evidenza osservando la struttura dell'art.62 n.6 c.p., il quale, nel richiedere che sia stato riparato interamente il danno, esclude che un'azione riparatrice utile possa intervenire quando il reato non si sia ancora perfezionato e continui così a provocare danni materiali e morali.L'attenuante, per esprimersi con S.U. 23 novembre 1988, n.5909, Presicci, rv.181084 : "contempla unicamente un comportamento....successivo all'esaurimento del reato", con il corollario che un tale comportamento, ove il reato sia stato commesso da una pluralità di soggetti, è fuori dal concorso di persone, dissoltosi con il perfezionamento della fattispecie criminosa. Tanto in altre parole sta a significare che la condotta riparatrice non si fonde nella struttura unitaria del reato di cui all'art.110 c.p. e che l'art.118 c.p., diretto a dettare per i singoli compartecipi i criteri di imputazione delle conseguenze degli elementi accidentali dell'illecito concorsuale nella sua struttura monistica, non è perciò operativo. 12. Sotto un profilo positivo l'applicabilità al soggetto dell'attenuante di cui all'art.62 n.6 c.p., anche quando nel risarcimento sia intervenuto un terzo, sia pure questi un correo, discende allora soltanto dal disposto di questa norma e cioè dal senso che si intende attribuire all'espressione "l'avere...riparato interamente il danno mediante il risarcimento...e le restituzioni" ivi impiegata e dalla possibilità di ricondurre a simile formula lo specifico risarcimento o la specifica restituzione nella specie avvenuti.Ora è canone interpretativo comune delle norme penali che le condotte in esse previste, salvo le eccezioni espressamente indicate, debbano essere connotate da volontarietà e che vada osservato e conservato nel concreto, nel suo profilo assiomatico, il valore della locuzione impiegata legislatore. E quindi "l'aver riparato", per integrarsi, non può consistere solo nella sussistenza dell'evento, ma deve comprendere una volontà di riparazione. Tanto più che riparazione non è locuzione neutra, quale ad esempio estinzione del debito o soddisfacimento dello stesso, ma è voce di segno positivo in funzione del grado di disvalore di cui lo specifico reato costituisce espressione. 13. A ben vedere queste affermazioni rendono piuttosto nominalistica e si può dire "di coda" la disputa sulla natura soggettiva o oggettiva dell'attenuante, in quanto basandosi soltanto sul dato letterale, prescindono da considerazioni circa la ridotta capacità a delinquere, il ravvedimento o la resipiscenza del colpevole. E del resto la stessa Corte Costituzionale, che nella sentenza n.138 del 1998, fondandosi sull'evento richiesto e sull'interesse dell'offeso, ha preso una decisa posizione per la natura oggettiva della circostanza, precisa che è pur sempre necessario che l'intervento risarcitorio sia "comunque riferibile all'imputato". Riserva indotta dalla necessità di preservare la condotta volontaristica che la norma in esame indica nell' "aver riparato" e, con essa, il quid di merito della riparazione. 14. Quid che, nei reati colposi, il criterio di ragionevolezza impone di rilevare, per una visione socialmente adeguata del fenomeno, anche nell'aver stipulato un'assicurazione o nell'aver rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivati dall'attività pericolosa. Ma che nei reati dolosi richiede invece "una concreta, tempestiva, volontà di riparazione del danno cagionato", in modo che, se uno dei correi ha già provveduto in via integrale, l'altro, per esempio, dovrà nei tempi utili rimborsare il complice più diligente (Sez.I 27 ottobre 2003, n.4177, P.G. nei confronti di Balsano e altri, rv.227102) o comunque dimostrare di aver avanzato una seria e concreta offerta di integrale risarcimento. Ne deriva che in ogni caso l'estensione dell'attenuante al colpevole non può discendere dal semplice soddisfacimento dell'obbligazione risarcitoria ad opera del coobbligato solidale e dalle norme che presidiano l'estinzione delle obbligazioni da illecito, come invece vorrebbe il ricorrente Pagani, con riguardo a quanto è avvenuto nella specie. 15. I ricorsi vanno quindi respinti con condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali. Così deciso in Roma il 22 gennaio 2009