In tema di riconoscimento dello status di rifugiato, la Suprema Corte ha stabilito che, anche sotto il vigore dell’art. 1 del d.l. n. 416 del 1989, conv. in l. n. 39 del 1990, i principi regolatori dell’onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati prendendo in considerazione i criteri della Direttiva 2004/83/CE (attuata con d.lgs. n. 251 del 2007), nonostante la mancata scadenza del termine di recepimento interno. Alla luce di questi criteri ermeneutici, applicabili anche alle norme non di derivazione comunitaria, la S.C. ha ritenuto che si deve tenere conto della credibilità del richiedente e della concreta possibilità di fornire i riscontri probatori necessari, ravvisando a carico del giudice un dovere di cooperazione e più ampi poteri istruttori officiosi, nell’accertamento dei fatti rilevanti per il riconoscimento dello status di rifugiato, peraltro pienamente compatibili con il rito camerale, ritenuto applicabile anche nel vigore dell’art. 1 d.l. n. 416 del 1989 conv. in l. n. 39 del 1990, prima dell’entrata in vigore dell’art. 35 d.lgs. n. 25 del 2008, attuativo della Direttiva 2005/85/CE. (Nel caso di specie la S.C. ha cassato la pronuncia di merito perché non aveva ritenuto ammissibile la prova testimoniale richiesta in secondo grado, sul rilievo che essa non fosse stata articolata per capitoli separati, e, reputando insufficienti le dichiarazioni del richiedente in ordine alla professione religiosa sciita e all’appartenenza alla minoranza curda nonostante l’attestata conoscenza di tale idioma, aveva rigettato la domanda).
Testo Completo:
Sentenza n. 27310 del 17 novembre 2008
(Sezioni Unite Civili, Presidente V. Carbone, Relatore M. G. Luccioli)
Testo Completo:
Sentenza n. 27310 del 17 novembre 2008
(Sezioni Unite Civili, Presidente V. Carbone, Relatore M. G. Luccioli)