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lunedì 23 novembre 2009

Comunione legale - Acquisto del terzo

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 20 - 28 ottobre 2009, n. 22755

(Presidente Carbone - Relatore Nappi)

Svolgimento del processo


Il 25 giugno 1996 R. B. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Marsala l'ex marito P. B. e N. P., cui in data omissis lo stesso B. aveva venduto un alloggio, che in precedenza era stato destinato a casa coniugale sin dal suo acquisto in data omissis, benché entrambi i coniugi ne avessero all'epoca simulato la destinazione all'attività professionale del marito, per sottrarlo a scopo fiscale alla comunione legale.

Chiese dunque che, dichiarata la simulazione dell'atto pubblico per notar L. F. di acquisto dell'immobile a nome del solo P. B., fosse accertata la comune proprietà dell'alloggio in capo a entrambi i coniugi e ne fosse di conseguenza annullata la successiva vendita a N. P..

Ripropose così la domanda già proposta nel giudizio di separazione personale dei coniugi e trascritta il 10 luglio 1991, ma dichiarata inammissibile in quella sede.

Il tribunale qualificò la domanda di R. B. come azione di simulazione del contratto di compravendita stipulato dai coniugi B. per l'acquisto dell'immobile controverso. Ordinò pertanto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di A. F. e M. L. A., danti causa di P. B. e R.

B.. E rigettò la domanda per mancanza di prova scritta.

La decisione, impugnata da R. B., fu tuttavia riformata dalla Corte d'appello di Palermo, che, qualificata la domanda come azione di accertamento della comunione legale, riconobbe R. B. comproprietaria dell'immobile e di conseguenza annullò il contratto di compravendita per notar C. stipulato da N. P. con il solo P. B..

Ritennero i giudici d'appello che l'indiscussa e comunque accertata destinazione dell'immobile a casa coniugale ne aveva determinato l'immediata inclusione nella comunione legale sin dall'acquisto, perché la dichiarazione resa da R. B. nell'atto pubblico di compravendita del omissis, circa la destinazione dell'immobile all'attività professionale del marito commercialista, non aveva avuto efficacia negoziale e non aveva comportato pertanto la sottrazione del bene alla comunione.

Contro la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione N. P., con un unico motivo d'impugnazione, cui resiste con controricorso R. B., che ha proposto altresì, ricorso incidentale condizionato e ha poi depositato anche una memoria. Mentre non ha spiegato difese P. B..

La prima sezione civile di questa corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha sollecitato la rimessione alle Sezioni unite. Ha rilevato infatti un contrasto di giurisprudenza circa la disponibilità del diritto alla comunione legale su beni che per legge vi sarebbero inclusi; e la particolare importanza della consequenziale questione degli effetti nei confronti dei terzi acquirenti nel caso di sopravvenuto accertamento della comunione legale sui beni alienati dal coniuge unico intestatario.

Successivamente P. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Disposta a norma dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi proposti contro la stessa sentenza, va innanzitutto rilevato che nella memoria depositata dalla controricorrente R. B. viene eccepita l'improcedibilità del ricorso principale per omessa notifica ai chiamati in causa A. F. e M. L. A..

Si tratta tuttavia di eccezione palesemente infondata, perché non è più in discussione in questo giudizio il contratto di compravendita cui parteciparono A. F. e M. L. A., bensì solo il contratto di compravendita stipulato da N. P. con P. B..

Né rileva in questa sede se violi l'art. 112 c.p.c. la modificazione della qualificazione giuridica della domanda da parte della corte d'appello, posto che si tratterebbe comunque di un error in procedendo non dedotto dal ricorrente e non rilevabile d'ufficio (Cass., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 978, m. 596924).

2. Con l'unico complesso motivo del suo ricorso N. P. deduce violazione degli art. 179, 184, 1445 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Lamenta innanzitutto che la corte d'appello non abbia tenuto conto della sua buona fede di terzo acquirente, cui non poteva addossarsi una responsabilità del solo P. B..

Eccepisce poi la prescrizione dell'azione di annullamento, perché proposta a oltre un anno sia dall'acquisto dell'immobile da parte dei coniugi B. sia dal successivo acquisto dello stesso immobile da parte sua.

Lamenta infine che la dichiarazione resa da R. B. all'atto dell'acquisto dell'immobile da parte del marito sia stata erroneamente qualificata come meramente ricognitiva, anziché negoziale, senza considerarne la destinazione a rifiutare gli effetti traslativi del contratto. E rilevato che su tale questione v'è contrasto di giurisprudenza, chiede che la questione sia risolta dalle Sezioni unite della corte.

3. Risulta preliminare l'esame dell'eccezione di prescrizione proposta dal ricorrente, perché, ove tale eccezione risultasse ammissibile e fondata, la conseguente dichiarazione di estinzione del diritto azionato da R. B. renderebbe irrilevante l'accertamento della sua effettiva esistenza (Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, m. 600910).

Sennonché, posto che quella prevista dall'art. 184 c.c. è effettivamente una prescrizione e non una decadenza (Cass., sez. II, 19 febbraio 1996, n. 1279, m. 495904), l'eccezione è inammissibile, perché il ricorrente non ha neppure allegato di averla già proposta sin dal giudizio di primo grado.

Infatti l'art. 345 comma 2 c.p.c. ammette che siano dedotte in appello nuove eccezioni solo quando sarebbero rilevabili d'ufficio.

Sicché, essendo quella di prescrizione un'eccezione non rilevabile d'ufficio (art. 2938 c.c.), il ricorrente avrebbe dovuto quantomeno allegare, non solo di averla dedotta già in primo grado, ma anche di averla poi riproposta in appello a norma dell'art. 346 c.p.c. (Cass., sez. L, 7 settembre 2007, n. 18901, m. 598866, Cass., sez. L, 12 novembre 2007, n. 23489, m. 600249). In mancanza di tale allegazione, l'eccezione di prescrizione è preclusa anche in questa sede.

4. Risulta dunque rilevante la questione della natura e degli effetti della dichiarazione con la quale R. B., intervenuta nell'atto per notar L. F. stipulato da P. B. il omissis, riconobbe che l'immobile controverso veniva acquistato allo scopo di destinarlo all'attività professionale del marito commercialista. Ed è con riferimento a tale questione che s'è manifestato nella giurisprudenza di legittimità il contrasto denunciato dalla prima sezione civile di questa corte. I riferimenti normativi di questa controversa questione sono tre:

a) l'art. 177 comma 1 lettera a) c.c., che include nella comunione legale “gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali”;

b) l'art. 179 comma 1 c.c., che elenca i beni esclusi dalla comunione in quanto personali e tra gli altri vi annovera, alla lettera d), anche “i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione”;

c) l'art. 179 comma 2 c.c., laddove prevede che l'acquisto di beni immobili o equiparati, benché effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto, se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge e ove si tratti di “beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge” (art. 179, comma 1, lettera c), di “beni che servono all'esercizio della professione del coniuge” acquirente (art. 179, comma 1, lettera d), di “beni acquisiti con il prezzo del trasferimento” di altri beni già personali del coniuge acquirente (art. 179, comma 1, lettera f). 4.1 - Come risulta dalla citata ordinanza interlocutoria della prima sezione civile, è controverso sia in dottrina sia in giurisprudenza se abbia natura meramente ricognitiva ovvero negoziale l'atto con il quale uno dei coniugi, intervenendo nel contratto stipulato dall'altro coniuge, riconosca a norma dell'art. 179 comma 2 c.c. la natura personale del bene acquistato e consenta perciò alla sua esclusione dalla comunione legale. Dalla natura meramente ricognitiva attribuita all'atto previsto dall'art. 179 comma 2 c.c., in particolare, un orientamento maggioritario della giurisprudenza di questa corte fa discendere l'enunciazione di un principio di indisponibilità del diritto alla comunione legale (Cass., sez. I, 27 febbraio 2003, n. 2954, m. 560743, Cass., sez. I, 24 settembre 2004, n. 192 50, m. 577347), benché ne riconosca poi la irretrattabilità, quale “dichiarazione a contenuto sostanzialmente confessorio, idonea a determinare l'effetto di una presunzione “juris et de jure” di non contitolarità dell'acquisto, di natura non assoluta ma superabile mediante la prova che la dichiarazione sia derivata da errore di fatto o da dolo e violenza nei limiti consentiti dalla legge” (Cass., sez. II, 6 marzo 2008, n. 6120, m. 602411, Cass., sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1917, m. 534144).

Sennonché può certo ammettersi che la dichiarazione prevista dall'art. 179 comma 2 c.c. abbia natura ricognitiva e portata confessoria quando risulti descrittiva di una situazione di fatto, ma non quando sia solo espressiva di una manifestazione di intenti.

Infatti una dichiarazione di intenti può essere più o meno sincera o affidabile, ma non è una attestazione di fatti, predicabile di verità o di falsità; e quindi, secondo quanto prevede l'art. 2730 c.c., non può avere funzione di confessione (Cass., sez. un., 26 maggio 1965, n. 1038, m. 312020, Cass., sez. II, 6 febbraio 2009, n. 3033, m. 606575).

Esemplificando, può avere dunque natura ricognitiva la dichiarazione con la quale uno dei coniugi riconosca appunto che il corrispettivo dell'acquisto compiuto dall'altro coniuge viene pagato con il prezzo del trasferimento di altri beni già personali (art. 179, comma 1, lettera f). Ma non può attribuirsi natura ricognitiva alla dichiarazione con la quale uno dei coniugi esprima condivisione dell'intento dell'altro coniuge di destinare alla propria attività personale il bene che viene acquistato.

Certo, non può negarsi una peculiare efficacia probatoria all'intervento del coniuge non acquirente che sia effettivamente ricognitivo dei presupposti di fatto dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge. Ma il problema qui realmente in discussione non è tale possibile efficacia probatoria.

4.2 - Il problema che è effettivamente in discussione è se l'intervento ex art. 179 comma 2 c.c. del coniuge non acquirente sia elemento costitutivo della fattispecie cui si ricollegano gli effetti di esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge.

Occorre dunque stabilire non solo se l'intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione sufficiente dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge; ma anche se sia condizione necessaria di un tale effetto. Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, l'intervento adesivo del coniuge non acquirente è di per sé sufficiente all'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge, indipendentemente dall'effettiva natura personale del bene (Cass., sez. I, 2 giugno 1989, n. 2688, m. 462974).

Secondo altra parte della dottrina e della giurisprudenza, invece, l'intervento adesivo del coniuge non acquirente non è sufficiente a escludere dalla comunione il bene acquistato dall'altro coniuge, ma è condizione necessaria di tale esclusione; sicché, quand'anche sia effettivamente personale, il bene rimane incluso nella comunione in mancanza dell'intervento adesivo del coniuge non acquirente (Cass., sez. I, 24 settembre 2004, n. 19250, m. 577347).

4.3 - Dalla stessa lettera dell'art. 179 comma 2 c.c. risulta peraltro che l'intervento adesivo del coniuge non acquirente non è di per sé sufficiente a escludere dalla comunione il bene che non sia effettivamente personale.

La norma prevede infatti che i beni acquistati risultano esclusi dalla comunione “ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge”. Sicché dall'atto deve risultare alcuna delle cause di esclusione della comunione tassativamente indicate nel primo comma dello stesso art. 179 c.c.; e l'effetto limitativo della comunione si produce solo “ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma”, vale a dire solo se i beni sono effettivamente personali. L'intervento adesivo del coniuge non acquirente può dunque rilevare solo come prova dei presupposti di tale effetto limitativo, quando, come s'è detto, assuma il significato di un'attestazione di fatti. Ma non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione. E quando la natura personale del bene che viene acquistato sia dichiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sarà l'effettività di tale destinazione a determinarne l'esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione.

Secondo il sistema definito dagli art. 177 e 179 comma 1 c.c., infatti, l'inclusione nella comunione legale è un effetto automatico dell'acquisto di un bene non personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed è solo la natura effettivamente personale del bene a poterne determinare l'esclusione dalla comunione.

Se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall'art. 179 comma 2 c.c..

Certo, potrebbe anche ritenersi che una tale facoltà debba essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche, indipendentemente da un'espressa previsione legislativa. Come potrebbe ritenersi che, dopo C. cost., n. 91/1973, non possa negarsi a ciascun coniuge il diritto di donare anche indirettamente all'altro la proprietà esclusiva di beni non personali. Tuttavia tali facoltà non potrebbero affatto desumersi dall'art. 179 comma 2 c.c., che condiziona comunque l'effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del bene; e attribuisce all'intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti.

4.4 - Deve nondimeno ritenersi che l'intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione necessaria dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge. L'art. 179 comma 2 c.c. prevede infatti che l'esclusione della comunione ai sensi dell'art. 179 comma lettere c) d) e f) c.c. si abbia solo se la natura personale del bene sia dichiarata dall'acquirente con l'adesione dell'altro coniuge.

Sicché nei casi indicati la natura personale del bene non è sufficiente a escludere di per sé l'esclusione dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi. E tuttavia l'intervento adesivo del coniuge non acquirente è richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione.

Sicché l'eventuale inesistenza di quel presupposto potrà essere comunque oggetto di una successiva azione di accertamento, pur nei limiti dell'efficacia probatoria che l'intervento adesivo avrà in concreto assunto.

4.5 - Come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, pertanto, il coniuge non acquirente può successivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall'altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi.

Tuttavia, se l'intervento adesivo ex art. 179 comma 2 c.c. assunse il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell'esclusione del bene dalla comunione, l'azione di accertamento presupporrà la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui è ammessa dall'art. 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l'intervento adesivo ex art. 179 comma 2 c.c. assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità degli intenti così manifestati.

E poiché nel caso in esame è indiscusso che l'immobile, benché acquistato come bene personale, fu in realtà destinato a casa coniugale, il ricorso è sotto questo aspetto infondato.

5. Viene allora in considerazione l'ultima questione posta dal ricorrente principale, quella dell'opponibilità al terzo acquirente in buona fede del sopravvenuto accertamento della comunione legale sul bene vendutogli.

Come lo stesso ricorrente riconosce, all'azione proposta a norma dell'art. 184 c.c. è applicabile la disposizione dell'art. 1445 c.c., che fa salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento anche in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede.

Quella prevista dall'art. 184 c.c. è infatti un'azione di annullamento (C. cost., n. 311/1988); e per tutto quanto non diversamente stabilito dalla norma speciale che la prevede, deve ritenersi applicabile la disciplina generale dell'azione di annullamento dei contratti.

L'art. 184 c.c., come l'art. 1445 c.c., si riferisce infatti a un caso di invalidazione dell'atto di acquisto del terzo per vizio del titolo del suo dante causa. E non rileva il fatto che il vizio del titolo del dante causa dipende nel caso dell'art. 184 c.c. da un'azione di accertamento, nel caso dell'art. 1445 c.c. da altra azione di annullamento.

Sicché deve ritenersi che, salvi gli effetti della trascrizione della domanda, il sopravvenuto accertamento della comunione legale non è opponibile al terzo acquirente di buona fede.

Nel caso in esame è indiscusso che il ricorrente trascrisse il suo atto di acquisto il omissis, prima della domanda di annullamento del contratto proposta il omissis da R. B..

È vero che l'attrice aveva già trascritto in data omissis la sua domanda di accertamento della comunione. Ma come risulta anche dalla sentenza impugnata, quella domanda fu dichiarata inammissibile il 26 novembre 1994.

Sicché la trascrizione non può giovare a R. B., che ripropose la sua domanda solo il omissis (Cass., sez. II, 9 gennaio 1993, n. 148, m. 480203).

Ne consegue che il sopravvenuto accertamento dell'appartenenza anche a R. B. del bene acquistato da N. P. può essere opposto al compratore solo se si dimostri che egli non era in buona fede.

Ma di tale questione la corte d'appello non s'è occupata affatto.

Va pertanto accolto sotto questo profilo il ricorso di N. P..

E la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, perché il giudice del merito proceda all'accertamento di tale fatto rilevante e controverso.

Del resto, con il ricorso incidentale condizionato, R. B. censura la sentenza impugnata per avere appunto omesso l'accertamento della mancanza di buona fede dell'acquirente. Sicché la sentenza impugnata va cassata anche in accoglimento del ricorso incidentale.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a sezioni unite, riuniti i ricorsi, accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.



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