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venerdì 1 agosto 2008

CASO COGNE - PROVE - ACCERTAMENTO INDIZIARIO - MODALITA' - ACCERTAMENTO DELLA COLPEVOLEZZA DELL'IMPUTATO "AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO"

Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Corte di cassazione ha “chiuso” il caso-Cogne.La Corte ha preliminarmente ritenuto la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità relativa all’art. 438 c.p.p., superata per il rilievo che la sottrazione alla competenza della corte di assise del giudizio abbreviato avente ad oggetto vicende omicidiarie è prevista espressamente, in ossequio alla riserva assoluta di cui all’art. 102, comma 3, Cost., dalla legge, che l’organo giudicante – il g.u.p. - è precostituito per legge, nel pieno rispetto della garanzia del giudice naturale, e che l’appello si svolge comunque dinanzi ad una corte d’assise, con salvaguardia del principio di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia nella materia de qua: né la specialità del procedimento vulnera il diritto di difesa, atteso che al rito, connotato da aspetti di innegabile premialità, si accede soltanto su specifica richiesta dell’interessato.Prima di passare all’esame dei motivi di ricorso più da vicino inerenti alla congruità della motivazione della sentenza gravata, la Corte ha riepilogato i caratteri principali dell’accertamento indiziario, osservando, tra l’altro, che un determinato accadimento potrà dirsi processualmente certo, e quindi conforme a verità, “una volta che, previo controllo dell’attendibilità dei dichiaranti ed attraverso il vaglio critico delle loro deposizioni, il giudice ritenga quel dato accadimento dimostrato e, dunque, processualmente acquisito”, con metodologia non dissimile rispetto a quello che regola l’accertamento basato su prove scientifiche (”un risultato di prova fondato sull’applicazione di leggi, metodi, o tecniche di natura scientifica potrà dirsi certo una volta che il giudicante abbia verificato l’affidabilità di quella legge, tecnica o metodica ed abbia dato ragione della valenza ed attendibilità del risultato conseguito”). Coerentemente, ai sensi dell’art. 533, comma 1, c.p.p., deve ritenersi intervenuto quell’accertamento di responsabilità <>, che legittima, ed anzi costringe, il giudice a pronunciare condanna, “quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie concreta non trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana”.In tema di prova scientifica, si è osservato che la tecnica di indagine denominata B.P.A. (Bloodstain Pattern Analysis), con la quale erano state esaminate le macchie di sangue presenti sui reperti e rinvenute sulla scena del delitto, “non si basa su leggi scientifiche nuove od autonome bensì sull’applicazione di quelle, ampiamente collaudate da risalente esperienza, proprie di altre scienze (matematica, geometria, fisica, biologia e chimica) che, in quanto universalmente riconosciute ed applicate, non richiedono specifici vagli di affidabilità”. Si è inoltre chiarito che la B.P.A. è processualmente riconducibile al genus della perizia (art. 220 c.p.p.), poiché la peculiarità dell’oggetto degli accertamenti non rende il mezzo di prova atipico (art. 189 c.p.p.): non era, pertanto, necessario che la sua ammissione fosse preceduta dall’audizione delle parti sulle modalità di assunzione (art. 189, ult. parte, c.p.p.). In tema di perizia psichiatrica, si è infine ribadito (sulla scia di SS.UU. 25.1. – 8.3.2005, n. 9163, Raso, C.E.D. Cass. n. 230317) che anche i gravi disturbi della personalità possono dar luogo ad una infermità mentale, purché di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e volere del soggetto; il giudice deve, pertanto, “avvalersi di tutti gli strumenti a sua disposizione e di ogni elemento di valutazione e di giudizio desumibile dalle acquisizioni processuali”. Per tale ragione, nessun vizio può ravvisarsi “nell’utilizzazione, da parte dei periti, del contenuto di conversazioni intercettate e di filmati di trasmissioni televisive svoltesi con la partecipazione della perizianda (peraltro solo marginalmente e cautamente valorizzate), la valutazione della cui pertinenza e rilevanza (…) rientra nelle competenze professionali degli esperti ed, in seconda istanza, del giudice, in questa sede potendosi, in linea generale, osservare che detti materiali appaiono utili ai fini dell’indagine in quanto comunque appartenenti al vissuto del soggetto”.